Una sentenza della Corte di Giustizia UE sul rilascio dei certificati A1 (la 784/19 “Team power Europe”, depositata il 3 giugno 2021) è alla base della nota 936 – 15 giugno 2021 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con cui si vuole chiarire la tutela sociale da garantire ai lavoratori somministrati nell’ambito di un distacco transnazionale.
Il caso specifico vede un’impresa interinale fornitrice di manodopera che non esercita nessuna attività di somministrazione in Bulgaria, mentre tutto il suo fatturato dipende dall’effettuazione del servizio di somministrazione in altri Paesi UE. Per questo motivo l’Agenzia delle entrate bulgara, istituzione competente al rilascio di certificati A1, aveva rifiutato il rilascio di tali certificati per lavoratori assunti in Bulgaria e immediatamente distaccati presso un’impresa utilizzatrice stabilita in Germania.
Il giudice amministrativo bulgaro, cui l’agenzia interinale si era rivolto per opporsi al provvedimento di diniego al rilascio del certificato, ha così interessato la CGUE, per capire cosa stabiliscano al riguardo le regole europee sul distacco.
La normativa europea – ha sentenziato la Corte – contempla per le imprese che esercitino “attività abituale” nello Stato in cui sono stabilite la possibilità di inviare lavoratori ad aziende utilizzatrici stabilite in Stati membri diversi, senza che ciò comporti la necessaria iscrizione di questi lavoratori al sistema previdenziale dello Stato membro di destinazione.
L’Ispettorato specifica inoltre che la disciplina dell’istituto del distacco (art. 12 del regolamento CE n. 883/2004) prevede che la persona che esercita un’attività subordinata in uno Stato membro per conto di un datore di lavoro che vi esercita abitualmente le sue attività ed è da questo distaccata, per svolgervi un lavoro per suo conto, in un altro Stato membro, rimane comunque soggetta alla legislazione del primo Stato membro.
Quindi può rientrare nell’ambito di applicazione di questa disposizione il lavoratore distaccato il cui datore di lavoro ha un legame particolare con lo Stato membro in cui è stabilito, in quanto tale datore di lavoro “esercita abitualmente le sue attività” in tale Stato membro.
La Corte di Giustizia ha però sancito il principio secondo cui lo svolgimento di mere attività di gestione interna non è sufficiente ai fini del riconoscimento dell’esercizio abituale delle attività nello Stato di stabilimento. L’attività svolta nel Paese di stabilimento dall’impresa distaccante non può consistere cioè nella mera amministrazione o gestione interna.
Ai fini del controllo di regolarità, dunque, l’acquisizione dei dati di fatturato dovrà riguardare in modo specifico la messa a disposizione di lavoratori nei confronti di imprese utilizzatrici stabilite nel medesimo Stato membro di stabilimento dell’impresa interinale, da rapportare al complessivo fatturato conseguito, comprensivo quindi anche del ricavato derivante dalle operazioni transnazionali di somministrazione.
Nei confronti dei singoli lavoratori somministrati e a prescindere dalla valutazione effettuata nei confronti dell’Agenzia interinale nel suo complesso avrà rilievo, ai fini del disconoscimento del singolo distacco, la circostanza del loro abituale impiego in somministrazione in altri Paesi dell’Unione diversi da quello di stabilimento.
Fonte: Uomini e Trasporti
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